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RUBRICA/ Colori e ornamenti nelle vesti del XV Secolo

Rubrica “Alla scoperta del XV secolo” – 01.04.2013
Colori e ornamenti nelle vesti del XV Secolo
A cura di Giulia Marini

Dal Duecento al Quattrocento il colore esplose nelle vesti illuminando le città: per le vie cittadine spiccavano chiazze di tinte accese e non più evanescenti. Precedentemente al XIV secolo  i colori infatti tendevano a dissolversi con l’esposizione alla luce riducendo le vesti a toni spenti che costituivano la tinta prevalente dei panni grezzi; Il rosso, colore d’eccezione, era tanto amato quanto ricercato e poco accessibile:

rossi erano i manti dei re, dei duchi e dei magistrati. Il colore vermiglio e il paonazzo, varianti del rosso, si ottenevano l’uno attraverso un bagno bollente di legno del brasile successivo a una tintura di robbia e l’altro dalla sovrapposizione del rosso ottenuto impiegando il legno del brasile o verzino al biavo, vale dire l’azzurro. La tecnica tintoria alla fine del medioevo impiegava cinque colori base, l’azzurro o biavo, il rosso, il giallo, il fulvo e il nero che, combinati tra loro, davano origine a molte altre tinte. Il verde, era un colore molto amato e diffuso nel medioevo diversamente dal nero, colore tanto più pregiato quanto difficile a ottenersi, che solo nel XVI secolo prese a rappresentare la massima pompa nell’abbigliamento cerimoniale. Il verde era il colore simbolico della gioventù e della sua celebrazione nelle feste del primo giorno di maggio. Preziosi erano anche i panni di colore rosso o blu che caratterizzavano il vestito della sposa, come si ricava dai testi disponibili a partire dal XIII secolo. I medici vestivano di rosso o di nero, un colore, quest’ultimo che caratterizzava gli scolari dello Studio di Bologna. Ogni professione e ogni condizione sociale si distingueva per uno specifico modo di vestire e per un colore specifico che si sfoggiava nelle occasioni ufficiali: i cavalieri in scarlatto, giudici e notai in nero, medici in violetto, i meno privilegiati di solito di bigio. Oltre alle varie tonalità dell’azzurro, il verde, legato prevalentemente ad antiche tradizioni contadine , era uno dei colori più diffusi in tutti i paesi europei ancora alla metà del XV secolo anche se, a partire dal XIII secolo, si venne sempre più imponendo il blu fino a fare concorrenza al primo fra i colori, il rosso .Dal XIII secolo, infatti, da quando cioè i processi tintori furono in grado di produrre un blu intenso e brillante, esso diventa il colore delle vesti principesche, degli abiti da cerimonia e soprattutto del manto della Vergine. Frequentemente si trova, come risulta dalle testimonianze iconografiche dell’epoca, l’accostamento di tinte accese che a spicchi trasformavano vesti femminili o brache e calze maschili in un caleidoscopio di colori. L’insieme delle vesti maschili fatte di un corto farsetto e calze attillate era caratterizzato da un uso generoso del colore: se la parte sinistra della cottardita era gialla, quella destra poteva essere di un rosso acceso e viceversa per le calze. Ogni calza poteva essere di più colori, usualmente quelli che comparivano nello stemma araldico di chi le indossava.  La particolarità delle calze era accentuata da scarpe di smisurata lunghezza che richiedevano apposite imbottiture e spesso catenelle o cordicelle che le fissassero alle ginocchia. L’oro e dei disegni complicati impreziosivano i tessuti policromi delle vesti sopra le quali le donne indossavano mantelli in tinta unita dalla fodera spesso più preziosa della parte esterna e in colore contrastante. Il bianco, lentamente si impose come simbolo di purezza e di lealtà, il bruno era comunemente poco portato, se non per lutto, ma caratterizzava le vesti dei frati, degli astrologi e dei matematici, mentre in molte città d’Italia era di colore giallo il segno di riconoscimento imposto agli ebrei.

Molto diffuso era anche l’uso delle pellicce e tra le più impiegate si trovano quelle di dorsi di vaio, cioè di scoiattolo, che accostati l’uno all’altro formavano un insieme a scacchi bianchi e grigi rappresentato chiaramente in molte miniature e affreschi. Erano pregiate anche le pelli di volpe e di coniglio ma molto meno di quelle di ermellino e zibellino. Gli usi dell’alta nobiltà erano poi imitati dalla piccola nobiltà che tuttavia non poteva permettersi facilmente pellicce preziose come quelle di zibellino o di lince diventate di moda tra la fine del Medioevo e l’inizio del Rinascimento,mentre i popolani si coprivano preferibilmente con pelli d’agnello quando non si potevano permettere pellicce di coniglio.

In questo secolo è molto diffuso l’uso delle perle e in misura minore delle madreperle; la ritrattistica dell’epoca, ci da l’immagine di perle che cingono il collo e proseguono verso l’alto sul capo dal quale si innestano in complesse acconciature fissate da veli, da nastri o da cordoncini dorati.

Si vedono perle luminose appoggiate a fronti altissime o altre che cingono colli riflettendo sull’incarnato un gioco fra perle chiare e scure. Nel ’400 le perle furono dunque le incontrastate regine delle

gemme, frutto di scelte femminili che scaturivano dall’indiscutibile bisogno di valorizzazione estetica del viso.

Grande rilevanza hanno anche le maniche delle vesti che presentano varie fogge: a mantello, ad ali e

spesso erano larghe e foderate di dorsi o di pance di vaio. Le vesti si presentavano spesso frappate, decorate con frange o ricamate con figure come ad esempio leoni, stelle o lettere, ornate con perle o con fili di bottoni d’argento, già annotati nella normativa suntuaria bolognese del 1335.

Non tutti, ovviamente, e non tutti i giorni indossavano vesti di lusso, adatte piuttosto a feste e cerimonie sacre o profane nel corso delle quali si poteva e si doveva apparire quasi “in divisa”, con tutta la pompa, cioè, che la propria condizione economica consentiva ma soprattutto che il proprio livello sociale legittimava. Nella vita quotidiana anche le appartenenti all’area del privilegio vestivano verosimilmente con semplicità non molto diversa, pare, da come vestivano abitualmente le donne meno privilegiate e cioè in camicia e “guarnello”, un abito semplice simile ad un grembiule, stretto in vita da una cintura e fatto di cotone o di panno.

La moda, il lusso e la normativa suntuaria dell’epoca rappresentano spesso il privilegio  di cui una famiglia godeva ed era proprio l’aspetto esteriore della moglie che doveva esaltare e dare lustro all’immagine del coniuge dalla cui posizione sociale derivava sempre e in ogni caso quella della moglie.

La donna indossava le vesti che la condizione sociale del padre o del marito consentivano ma spesso non ne disponeva di suoi, dato che in vita il suo abbigliamento poteva appartenere al coniuge, che per contratto matrimoniale era tenuto a “vestire” la moglie.

Fonte: Gli Inganni delle apparenze – Disciplina di vesti e ornamenti alla fine del Medioevo (Maria Giuseppina Muzzarelli  – 1996 G.B. Paravia & C. S.p.A.)

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